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LA CENTRALE A CARBONE? ECCO COSA PENSA IL GIORNALISTA RAI GIUSEPPE MALARA

26 luglio 2012 Nessun Commento
Riceviamo e pubblichiamo la lettera del collega Rai Giuseppe Malara -
Scrivo queste righe per raccontare il fermento che, da mesi, mi anima. Approfitto di questo spazio da te gentilmente concessomi. Ho passato la mia infanzia e la mia adolescenza a Saline Joniche. Ho trascorso quel periodo all’ombra dell’ingombrante ciminiera grigia, bianca e rossa della Liquichimica. La mia famiglia, dagli anni ’50, è proprietaria del terreno agricolo che si trova di fronte a quel mostro, sfregio perenne, figlio di un’industrializzazione mancata e inopportuna. Mio nonno, subito dopo la guerra, in quelle terre, sfruttandone la naturale vocazione, coltivò alcune tra le meraviglie dell’ortofrutta calabrese. Per decenni, Saline, anche grazie al suo contributo, fu terra di pomodori, zucchine, ma anche di arance e bergamotti, così come di gelsomini. Gli imprenditori agricoli della zona vendettero i prodotti di quella terra in tutta Italia. Le loro piccole imprese agricole davano lavoro ai braccianti, allora, tutti del posto e permettevano a quel territorio di svilupparsi e, nello stesso tempo, arricchirsi mantenendo ferme le tradizioni locali. Poi, all’improvviso, tutto finì. Siamo all’alba degli anni ’70. La storia la conosciamo: lo scippo del capoluogo di Regione, i moti, Reggio che rivendica i suoi diritti. La prova di forza nell’imporre dall’alto una scelta e di martoriare, ancora una volta la Città dello Stretto, con una decisione folle, insensata. Per acquietare gli animi, arrivò il Pacchetto Colombo, compresa la Liquichimica, che sventrò parte della provincia di Reggio Calabria. Chi viveva di agricoltura, decise che era giunto il momento di fare il grande salto, verso l’industria. L’arroganza di cemento e ferro si impose sulla dolci e docili piantagioni di gelsomino ed agrumi. L’industrializzazione selvaggia e inutile fu l’inizio della fine. La gestione del dopo, con la cassa integrazione a vita, il mortificante epilogo. Con la costruzione della Liquichimica, la politica romana illuse una comunità, la convinse di aver fatto 13 al totocalcio e, subito dopo, le raccontò che era uno scherzo e che, comunque, in segno di risarcimento, avrebbe dato a chi, in quella fabbrica doveva lavorare, uno stipendio in attesa della pensione. Ora la storia si ripete. Qualcuno, che questa volta non arriva da Roma ma dalla Svizzera, viene giù, racconta che a Saline si è vinto al superenalotto e crea speranze. Quel qualcuno riesce a far proseliti, sfruttando il disperato bisogno di lavoro di chi, ancora, li’ resiste e, mettendo in campo denaro, tanto denaro, racconta di sfavillanti opportunità per il territorio saccheggiato. In sostanza, i signori della Repower dicono alle genti del posto: “Volete sviluppo e lavoro? Bene, prendetevi il carbone!”. È inutile dire quanto tutto ciò sia assurdo. Il solo pensiero che un mostro come la centrale possa sorgere alle porte di una città come Reggio Calabria che vuole sviluppare la sua naturale propensione turistica mi crea rabbia e sgomento. Anche i bambini sanno quanto il carbone sia nocivo. E non ci vengano a raccontare di processi di quarta o quinta generazione. Se così fosse, la Sei, la centrale la costruirebbe a casa del titolare dell’azienda. Ai miei concittadini dico: “Amici miei, ci siamo fidati una volta ed è andata come è andata. Evitiamo di rifarci del male”. Sarebbe opportuno, invece, sposare tutti la linea tracciata dal Governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti durante il consiglio regionale dello scorso 23 luglio: “Sviluppo e lavoro. Si, ma sfruttando la naturale vocazione dell’area!”. La Sei ha un unico merito. Ha riacceso i riflettori su Saline Joniche. Lo ha fatto con arroganza e disprezzo per il territorio, ma lo ha fatto! Affidiamoci a Scopelliti: è l’unica arma che possediamo per far si che lo sviluppo della nostra terra, per i nostri figli e per il nostro futuro, possa non essere tinta di nero carbone ma, bensì, di verde, bianco e rosso. I colori della nostra bandiera, i colori della nostra Italia che, in passato, si è scordata di noi ma che attraverso l’attuale Governatore della Calabria, può riscattarsi e ripagarci di scelte devastanti e delittuose. 

Giuseppe Malara (giornalista del Tg1 Rai)

P.s.: scrivo questa lettera da una veranda di Ravello, balcone sulla costiera Amalfitana. La butto giù guardando il mare e lo splendido scenario che sta sotto. Stamani ho visto degli asini scalare il valico di Chiunzi. Qui li usano ancora per il trasporto delle legna. Qui, la natura è intatta e le tradizioni vengono rispettate. Si è investito in turismo, si è costruito hotel e nessuno, mai, ha pensato a ciminiere, ammassi di ferraglie e carbone, nonostante il bisogno di lavoro che c’è. Nessuno!

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