SALVIAMO LA VITA DI CHI E’ COME ELUANA*
14 novembre 2008
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Comprendo bene la sofferenza di chi vive accanto a chi sta male e la sofferenza di chi sta male accanto a chi vive.
Ma nessuno di noi può e sa misurare la sofferenza.
Nessuno può entrare nel merito della stessa. Si tratta di un fatto molto personale. Non la si può codificare, infatti, dentro una scala di valori e non si può stabilire se e quanto è giusto soffrire.
A volte soffrono molti “non malati” rispetto ai “malati”. Quindi, forse, bisognerebbe chiedersi che cosa è la sofferenza.
Bisognerebbe chiedersi se un bambino, nei primi stadi di vita, quando le proprie cellule subiscono divisioni e accrescimenti, soffre. Se il feto prova gioia o dolore durante l’evoluzione dei propri tessuti.
E se veramente soffrisse cosa bisognerebbe fare? impedire la nascita di nuove generazioni? Bloccare e fermare il dono della vita?
E se veramente soffrisse cosa bisognerebbe fare? impedire la nascita di nuove generazioni? Bloccare e fermare il dono della vita?
Quel bambino ancora non bambino, quel feto che assomiglia ad un uomo è un dono di Dio e vive attimi e battiti nel momento presente.
Questo è il parto della vita che dura nove mesi.
Vi sono altri parti che durano più a lungo, che suscitano la sensibilità di chi vive momenti di grande e comprensibile tensione ma certamente ciò non può portare il “soggetto pensante” a staccare una spina.
Se il parto della vita dura nove mesi e altri parti non sappiamo quanto durano dovremmo prendere coscienza che il “tempo” è una convenzione umana perchè per Dio mille anni sono come un giorno ed un girono sono come mille anni.
Non si può annullare una vita perchè si stabilisce il limite ed il tempo della sofferenza.
E’ forse troppo il dolore di chi le sta accanto.
È proprio questo e per questo che si tende a voler mettere la parola “fine” ad una storia durata troppo.
Ciò, spesso, si giustifica come il desiderio di voler fare del bene a chi sta male.
Bisognerebbe affermare con chiarezza, invece, che si intende decidere per chi non può decidere; per chi vive su un letto o per chi, come un feto, vive dentro il pancione della madre.
Entrambi sono indifesi e non c’è differenza tra quella ragazza stesa ed intubata su un letto e quel piccolo bambino che vive dentro la propria madre.
Ad entrambi si può decidere di far del male.
L’importante è ricordarsi che si tratta di figli.
Vincenzo Malacrinò
* già pubblicato sul sito di Magdi Allam